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Ospitare una voce lontana

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Ospitare una voce lontana

Un’analisi della traduzione italiana della Guta saga alla luce dell’ Analitica della traduzione di Antoine Berman

Diego Rossi

Italienska, C-uppsats Vt 2021 Handledare: Giovanni Fort Examinator: Giuseppe Nencioni

(2)

ABSTRACT

Questa tesi si propone di esaminare, attraverso uno studio comparativo con il testo originale, alcune delle scelte traduttive operate durante il procedimento di ricodificazione linguistica e culturale per il pubblico italiano della Guta saga, una delle prime opere storiche e letterarie della Svezia medievale, redatta in gutnico antico. Lo studio contrastivo di alcuni passaggi del testo originale della Guta saga e della traduzione italiana segue il metodo di analisi critica della traduzione letteraria del teorico francese Antoine Berman, atto a reperire i sistemi di deformazione che minacciano la pratica del traduttore e operano in modo inconsapevole sul piano delle sue scelte linguistiche e letterarie. I risultati della tesi evidenziano, da un lato, la presenza di alcune delle tendenze deformanti delineate da Antoine Berman nella sua Analitica della traduzione, quali la razionalizzazione, la chiarificazione e l’allungamento con la conseguente distruzione dei ritmi, l’impoverimento qualitativo e quantitativo, la nobilitazione, la distruzione dei sistematismi, e, dall’altro, alcune strategie di resistenza applicate dal traduttore che limitano tali deformazioni. La presente tesi getta altresì luce su alcune delle motivazioni consce e inconsce, quali ad esempio l’ambivalenza originaria del progetto di traduzione e il sentimento di soggezione del traduttore di fronte all’aura di sacralità dell’opera tradotta, che stanno alla base delle tendenze deformanti e delle strategie di resistenza riscontrate.

This thesis aims to examine, through a comparative study with the original text, some of the translation choices made during the linguistic and cultural recoding process for the Italian readers of the Guta saga, one of the first historical and literary works of medieval Sweden, written in ancient Gutnic. The contrastive study of some passages of the original text of the Guta saga and of the Italian translation follows the method of critical analysis of literary translation developed by the French theorist Antoine Berman. This method aimed at finding the ‘deforming tendencies’ inherent in the act of translation, that threaten the translator's practice and influence in an unconscious way his linguistic and literary choices. The results of the thesis highlight on the one hand the presence in the Italian translation of the Guta saga of some of the ‘deforming tendencies’ outlined by Antoine Berman in his Analysis of translation, such as rationalization, clarification and expansion with the consequent destruction of rhythms, qualitative and quantitative impoverishment, ennoblement and the destruction of linguistic patterns, and on the other hand some ‘resistance strategies’

applied by the translator in order to delimit the ‘deforming tendencies’. This thesis also sheds light on some of the conscious and unconscious motivations, such as the original ambivalence of the translation project and the translator’s awe due to the aura of sacredness of this work, which underlie the ‘deforming tendencies’ and the

‘resistance strategies’ that have been observed.

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INDICE

1. Introduzione………5

1.1 Obiettivo……….6

1.2 Metodo………6

1.3 Restrizioni ………..7

2. Teoria della traduzione………..7

2.1 Traduzione come sostituzione: il paradigma dell’equivalenza……….. 7

2.2 Traduzione come comunicazione: la teoria dello Skopos………. 8

2.3 Traduzione come trasferimento intertestuale………9

2.4 Traduzione come mediazione culturale: il cultural turn………..10

2.5 Traduzione come rewriting………...10

2.6 Traduzione come locus di eterogeneità………...11

2.7 Traduzione come capacità di “tra-dursi”………...12

2.8 Traduzione come esperienza di negoziazione………...12

3. Antoine Berman e l’Analitica della traduzione……….13

3.1 Antoine Berman: vita e opere……….13

3.2 L’Etica della traduzione………...14

3.3 L’Analitica della traduzione………16

3.3.1 Le tendenze deformanti………...16

3.3.2 La critica delle traduzioni………19

4. Riflessioni sulla traduzione dei testi medievali……….21

5. La Guta saga ………24

6. Preanalisi del traduttore………25

6.1 Posizione traduttiva……….25

6.2 Progetto della traduzione………26

6.3 Orizzonte del traduttore……….26

6.3.1 Parametri linguistici……….27

6.3.2 Parametri culturali………28

6.3.3 Parametri letterari……….28

7. Analisi della traduzione………29

7.1 Tendenze deformanti……….29

7.1.1 Razionalizzazione………30

7.1.2 Chiarificazione……….31

7.1.3 Allungamento………..36

7.1.4 Nobilitazione………37

7.1.5 Impoverimento qualitativo………39

7.1.6 Impoverimento quantitativo………..41

(4)

7.1.7 Distruzione dei sistematismi……… 41

7.1.8 Distruzione dei ritmi………. 44

7.2 Strategie di resistenza……….. 44

7.2.1 Onomastica……… 45

7.2.2 Toponimi………. 45

7.2.3 Realia……… 47

7.2.4 Locuzioni e espressioni idiomatiche……… 49

7.2.5 Sintassi……….. 49

8. Conclusioni……… 49

9. Bibliografia………. 52

(5)

Schiksaalgesez ist diß, daß Alle sich erfahren, Daß, wenn die Stille kehrt, auch eine Sprache sei.

Questa è la legge del destino, che tutti si esperiscano, in modo che tornata la quiete, anche un linguaggio sussista

Friedrich Hölderlin

1 Introduzione

Fin dai tempi del liceo classico e durante la mia lunga attività di docente di latino e greco in Italia e in Svezia, l’esperienza del tradurre ha costituito nella mia vita, per usare le parole di Antoine Berman, “un centro di gravità”. In tutti questi anni sono stato testimone dello sforzo nobile e appassionato dei miei studenti di uscire da se stessi per andare verso le lingue e civiltà del passato con lo scopo ultimo di dire nelle nostre lingue moderne la “stessa cosa” che dicono i testi greci e latini. Quando mi sono accinto 10 anni fa alla traduzione della Guta saga, spinto dall’impulso di far conoscere al pubblico italiano questo piccolo gioiello della letteratura medievale, mi sono trovato io stesso di nuovo nel ruolo di studente di fronte alla sfida di dare eco nella mia lingua madre a una voce lontana, quella del gutnico, antico dialetto norreno parlato sull’isola di Gotland. Devo confessare che mi gettai allora in quell’impresa traduttiva con il mio habitus di filologo classico, ancora per certi versi ancorato alla contrapposizione ciceroniana fra la traduzione alla lettera e la traduzione a senso. Sono quindi particolarmente grato per l’opportunità che ho avuto, in vista di questa tesi, di orientarmi all’interno delle recenti teorie sulla traduzione e di esercitare con il loro aiuto una riflessione critica sulle scelte traduttologiche allora adottate. Ritornare dopo così lungo tempo sulla mia pratica traduttiva è stato un percorso assimilabile a un’autoanalisi, oserei dire, a livello psicanalitico. Al tempo stesso proprio la distanza temporale è condizione, secondo lo studioso americano Lawrence Venuti, per individuare non solo le impronte di natura preconscia e conscia lasciate nel testo tradotto, ma forse anche quelle di natura inconscia: “The unconscious [...] remains by definition beyond the translator’s cognitive grasp and is available only to another investigator – or perhaps to the translator at a later moment and in another, analytical situation.”1. Consapevole degli eventuali rischi che una tale autonalisi potesse

1Schwartz, Cecilia. 2017. Le impronte del traduttore. Un’analisi della traduzione svedese de I Malavoglia di Giovanni Verga. Revue Romane 52(2): 230. (Venuti, Lawrence. 2013. The difference that translation makes: the translator’s unconscious. Translation changes everything, Theory and practice.

London & New York: Routledge, 54.)

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comportare, ho individuato nell’ Analitica della traduzione del teorico francese Antoine Berman uno strumento critico concreto, che a priori mi è apparso adatto per l’analisi traduttiva in questione, e ho quindi scelto di seguirlo sistematicamente per verificarne la sua operatività. A motivare la mia scelta è stata anche una profonda sintonia personale con la dimensione etica della traduzione, pensiero centrale della traduttologia bermaniana.

Il presente lavoro è strutturato nel seguente modo: la prima sezione presenta l’obiettivo della tesi, il metodo seguito e le eventuali restrizioni. La seconda sezione è dedicata ad un breve panorama delle principali teorie sulla traduzione. Nella terza sezione viene presentato il pensiero di Berman e il metodo da lui proposto per un’analisi delle traduzioni. Le sezioni quarta e quinta contengono alcune riflessioni specifiche sulla traduzione di testi medievali e una breve presentazione della Guta saga.

Nella sesta sezione viene analizzato, secondo la metodologia bermaniana, il contesto in cui è nata la traduzione, ossia la posizione traduttiva del traduttore, il progetto di traduzione e l’orizzonte del traduttore. La settima sezione è dedicata all’analisi comparativa dell’originale e della traduzione, al fine di individuare le “tendenze deformanti” e le eventuali “strategie di resistenza” messe in atto durante il processo traduttivo. Nelle conclusioni viene esercitata, alla luce dei risultati, una riflessione critica conclusiva sulle scelte operate dal traduttore e sulle motivazioni che sono state alla base delle medesime.

1.1 Obiettivo

Questa tesi si propone di esercitare una riflessione critica su alcune delle scelte traduttive operate durante il procedimento di ricodificazione linguistica e culturale della Guta saga per il pubblico italiano, al fine di ricercarne le motivazioni consce e inconsce. Ciò avverrà, in primo luogo, analizzando il contesto in cui è nata la traduzione attraverso una pre-analisi del traduttore e, in secondo luogo, evidenziando all’interno di tali scelte traduttive alcune delle “tendenze deformanti” delineate da Antoine Berman nella sua Analitica della traduzione ed eventuali “strategie di resistenza”2, che limitano tali deformazioni.

1.2 Metodo

Il presente lavoro di tesi è il risultato dell’applicazione alla traduzione italiana della Guta saga del metodo di analisi critica della traduzione letteraria messo a punto da Antoine Berman. Nel corso del nostro lavoro ci siamo avvalsi degli studi del teorico francese L’épreuve de l’étranger (1984), La traduction et la lettre ou l’Auberge du lointain

2 L’espressione ”strategie di resistenza”, adottata in questa tesi, è ripresa dalla terminologia del teorico della traduzione Lawrence Venuti. Si veda il paragrafo 2.6 (p. 11) di questa tesi.

(7)

(1985) e Pour une critique des traductions: John Donne (1995), in un primo momento, per contestualizzare la traduzione attraverso una preanalisi del traduttore e, successivamente, per un’analisi della traduzione, atta a individuare le “tendenze deformanti” presenti in essa. La lista stilata da Berman di queste tendenze ben ravvisabili che agiscono sul tessuto dell’originale funge da prontuario duttile e efficace per chi, come me, si è dedicato per la prima volta alla critica delle traduzioni3.

1.3 Restrizioni

La presente tesi non comprende l’analisi traduttologica globale delle scelte operate dal traduttore nella traduzione della Guta saga. In essa sono analizzati solo gli esempi più evidenti e significativi di tendenze deformanti e strategie di resistenza ravvisabili nel processo traduttivo. In particolare, all’interno delle deviazioni dall’originale concernenti l’uso della punteggiatura, vengono presentati i casi giudicati più rilevanti.

Sono escluse, in questa sede, l’analisi comparativa delle brevi sezioni poetiche presenti nel testo, l’analisi delle tendenze deformanti riguardanti la resa in italiano delle subordinate che in gutnico presentano il modo congiuntivo e l’analisi delle deviazioni dall’originale concernenti l’uso delle maiuscole.

2 Teoria della traduzione

Nella presente sezione s’intende fornire una panoramica dei principali approcci teorici alla traduzione elaborati dagli studiosi, a partire dalla seconda metà del Novecento, nel campo della linguistica, della semiologia, della filosofia e all’interno della disciplina dei Translation Studies.

2.1 Traduzione come sostituzione: il paradigma dell’equivalenza

I teorici dell’equivalenza, come John C. Catford, considerano la traduzione come sostituzione di elementi linguistici o testuali di una lingua A con elementi equivalenti di una lingua B. Alla base di tale studi vi è l’idea della sovrapponibilità dei sistemi linguistici e conseguentemente un concetto lineare e quasi “matematico” del processo traduttivo. Questo approccio che vede come essenza della traduzione la sua relazione con il sistema linguistico del testo di partenza è detto “orientato al testo fonte” (ingl.

source-oriented) e si fonda su un’idea sacrale dell’originale4. Eugene Nida, il grande studioso americano da molti considerato il “padre della traduttologia”, introduce la distinzione fra il concetto di equivalenza formale, secondo cui la traduzione dovrebbe tendere a riprodurre il testo originale in tutti i suoi aspetti e il concetto di equivalenza

3 Nannoni, Catia. 2006. La critica della traduzione. Graziano Benelli e Giampaolo Tonini (a cura di), Studi in ricordo di Carmen Sànchez Montero 1. Trieste: EUT Edizioni Università di Trieste: 274.

4 Riediger, Helmut. 2018. Teorizzare sulla traduzione. Punti di vista, metodi e pratica riflessiva. Laboratorio Weaver,15.

(8)

dinamica funzionale, secondo il quale il testo d’arrivo dovrebbe produrre un effetto sui lettori della lingua d’arrivo equivalente a quello esercitato dall’originale sui suoi destinatari:

Tradurre consiste nel produrre nella lingua di arrivo il più vicino equivalente naturale del messaggio nella lingua di partenza, in primo luogo nel significato e in secondo luogo nello stile[...] Con “naturale” intendiamo che le forme equivalenti non dovrebbero suonare “straniere”, né nella forma[...] né nel significato. Vale a dire, una buona traduzione non dovrebbe rivelare la sua natura non nativa.5

Al fine di sottolineare come la traduzione implichi due messaggi equivalenti in due codici diversi, il linguista russo Roman Jakobson conia l’ossimoro equivalence in the difference. “L’equivalenza nella differenza”, egli scrive, “è il problema cardinale della lingua e la preoccupazione primaria della linguistica”6. Jakobson postula l’universale potenziale di tutte le lingue naturali a esprimere l’esperienza umana, superando così il dogma dell’intraducibilità:

Ogni esperienza conoscitiva può essere espressa e classificata in qualsiasi lingua esistente. Dove vi siano delle lacune la terminologia sarà modificata e ampliata dai prestiti, dai calchi, dai neologismi, dalle trasposizioni semantiche e, infine, dalle circonlocuzioni.7

Jakobson introduce, insieme ai formalisti russi, come componente fondamentale dell’analisi traduttologica, il concetto di dominante, da lui definita come “la carat- teristica essenziale dell’opera letteraria, intorno alla quale si costituisce il testo come sistema integrato”8. Sull’individuazione della dominante dell’originale si basa la strategia traduttiva e la decisione del traduttore su quale sia l’aspetto irrinunciabile da conservare nel testo di arrivo.

2.2 Traduzione come comunicazione: la teoria dello Skopos

Negli studi tedeschi sulla scienza della traduzione degli anni Settanta e Ottanta l’aspetto centrale non è più costituito dalla ricerca meticolosa di equivalenza con i testi originali, ma dalla finalità della traduzione e del suo funzionamento nella cultura ricevente. La domanda che guida il processo traduttivo, secondo la Skopostheorie (dal termine greco skopos “scopo, intento”) formulata da Katarina Reiss e Hans J. Vermeer, non è più come e quali equivalenze creare, bensì individuare prima di tutto lo scopo dell’atto traduttivo:

5 Nida, Eugene. 2014. Principi di traduzione esemplificati dalla traduzione della Bibbia. In Nergaard Siri (a cura di) A.A.V.V. Teorie contemporanee della traduzione. Firenze: Bompiani, 162.

6 Osimo, Bruno. [1998] (2011). Manuale del traduttore. Guida pratica con glossario. Milano: Hoepli, 214.

7Ibidem: 56, 57.

8Ibidem: 278.

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La regola dello Skopos è questa: traduci, interpreta, scrivi, parla in modo che il testo o la traduzione funzioni nella situazione in cui è usato e con le persone che lo vogliono usare ed esattamente nel modo in cui vogliono che funzioni.9

In tale approccio funzionalista “orientato al testo d’arrivo” (ingl. target oriented), eliminata la fase linguistico-contrastiva, vengono delegittimate istruzioni valide

‘sempre e comunque’ per qualsiasi testo e ci si limita a suggerire al traduttore una completa coerenza rispetto al progetto10. Nell’ottica di Vermeer, secondo la quale la lingua è vista non come un sistema a sé stante ma come appartenente a una

determinata cultura, è necessario che il traduttore non sia soltanto bilingue ma

“bi-culturale”.

2.3 Traduzione come trasferimento intertestuale

Il traduttore e linguista israeliano Gideon Toury, fondatore della corrente Descriptive Translations Studies (DTS), sottolinea la centralità del rapporto tra il testo originale e la lingua e la cultura in cui il testo tradotto viene pubblicato. Adattando i concetti di source-oriented e target-oriented, Toury introduce la dicotomia adeguatezza e accettabilità.

Tale dicotomia si fonda sull’adesione del traduttore alle norme provenienti dal testo di partenza o a quelle provenienti dal testo di arrivo:

Se viene applicato il principio o la norma dell’adeguatezza, il traduttore si concentra sui tratti distintivi dell’originale: lingua, stile ed elementi culturali. Se prevale il principio di accettabilità, scopo del traduttore è produrre un testo comprensibile in cui linguaggio e stile sono in piena armonia con le convenzioni linguistiche e letterarie della cultura ricevente. I due princìpi non si escludono: un traduttore può perseguire a un tempo entrambe le norme.11

All’interno dei Descriptive Translations Studies, compito della traduttologia è studiare la traduzione per come si manifesta e osservare ciò che cambia e ciò che resta uguale durante il processo traduttivo12. Per esprimere questa dinamica di trasformazione dei testi nella traduzione lo studioso slovacco Anton Popovič conia i termini prototesto, al posto di testo di partenza, e metatesto al posto di testo d’arrivo13.

9 Ibidem: 313.

10 Salmon, Laura. 2017. Teoria della traduzione. Milano: FrancoAngeli, 129.

11 Osimo, Bruno. [1998] (2011), 107.

12 Riediger, Helmut. 2018. Teorizzare sulla traduzione.Punti di vista, metodi e pratica riflessiva. Laboratorio Weaver, 22.

13 Osimo, Bruno. [1998] (2011), 54.

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2.4 Traduzione come mediazione culturale: il cultural turn

Nella “svolta culturale” (ingl. cultural turn) degli studi traduttologici, che prende il suo avvio alla fine degli anni Ottanta, la traduzione non è più vista solo come un fatto semplicemente linguistico, ma come un’operazione che coinvolge l’ambito più vasto dell’interazione tra culture. È l’unione che il teorico francese del linguaggio Henry Meschonnic chiama langue–culture. Centro dell’indagine traduttologica diventa il testo inserito nella rete di relazioni con i due sistemi culturali, quello di partenza e quello di arrivo. Compito del traduttore, nella sua veste di mediatore culturale, è tenere conto degli elementi culturali che sottostanno ad un dato testo originale e svolgere una funzione comunicativa tra due realtà culturalmente e socialmente distanti. La differenza tra le culture è “il vuoto che il traduttore si propone di colmare al fine ultimo di rendere ogni cultura più accessibile all’altra”14. La traduzione diviene così il tramite che rende possibile la conoscenza di oggetti che non appartengono alla propria cultura.

Viene quindi enfatizzata l’importanza della competenza del traduttore sia nella lingua e cultura di arrivo che nella lingua e cultura di partenza quale condizione per il successo o il fallimento della traduzione come forma di comunicazione inter-culturale.

Proprio in quanto la traduzione non riguarda soltanto il rapporto fra le lingue ma il rapporto più complesso fra due sistemi culturali, cioè fra due sistemi normativi diversi, essa diventa, secondo il filosofo e logico americano Charles S. Pierce, un raffronto dinamico tra due mondi che finisce per sottolineare e problematizzare le differenze, a volte inconciliabili, tra le lingue e le culture.

2.5 Traduzione come rewriting

Un concetto fondamentale messo in campo all’interno dei Cultural studies da Susan Bassnett e André Lefevere è quello della traduzione come “riscrittura” (ingl. rewriting).

Il tradurre da processo ‘meccanico’, mero passaggio da una lingua a un’altra, diventa processo creativo di ripresa, rimodellamento e trasformazione che attestano e assicurano la vitalità e la sopravvivenza di un testo:

Rewriting can introduce new concepts, new genres, new devices and the history of translation is the history also of literary innovation, of the shaping power of one culture upon another.15

14 Osimo, Bruno. [1998] (2011), 36.

15Venturi, Paola. 2011. L’immobilità del traduttore: la traduzione dei classici moderni inglesi in Italia. Tesi di dottorato Università di Bologna: 16. (Bassnett, Susan. 1990. Bassnett, Susan; Lefevere, André. (eds.) Translation, History and Culture. London and New York: Pinter Publishers, ix)

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Bassnett e Lefevere mettono al contempo in guardia dai rischi di processi manipolativi da parte del potere vigente a cui tale riscrittura può essere soggetta:

But rewriting can also repress innovation, distort and contain, and in an age of ever increasing manipulation of all kinds, the study of the manipulative processes of literature as exemplified by translation can help us towards a greater awareness of the world in which we live.16

2.6 Traduzione come locus di eterogeneità

Un ulteriore passo in avanti sulla direttiva del cultural turn è costituito dalla posizione assunta dal traduttore e teorico della traduzione americano Lawrence Venuti. Nel suo volume dal titolo The translator’s invisibility (1995) Venuti si oppone alla pratica traduttiva “addomesticante” (ingl. domesticating) che tende a eliminare le peculiarità linguistiche, stilistiche e culturali dell’opera originale, costituendo così “una riduzione etnocentrica del testo straniero ai valori culturali della lingua d’arrivo” 17 . L’”estraniamento” (ingl. foreignization) diventa per lo studioso americano un mezzo per combattere “la violenza etnocentrica della traduzione” e l’”invisibilità del traduttore”. La strategia traduttiva “estraniante” (ingl. foreignizing) può essere denominata “resistenza”18, non soltanto perchè evita la scorrevolezza , ma in quanto sfida le costrizioni culturali della lingua d’arrivo , al fine di rendere il testo tradotto un locus di eterogeneità, un luogo dove l’“altro” deve essere assunto in quanto “altro”:

Il testo tradotto dovrebbe essere il luogo in cui emerga una cultura diversa, in cui il lettore abbia una visione dell’altro culturale, e la resistenza, una strategia di traduzione basata su un’estetica di discontinuità, possa conservare nel modo migliore quella differenza, quella alterità, ricordando al lettore i profitti e le perdite che si hanno nel processo di traduzione e gli incolmabili divari esistenti tra culture.19

2.7 Traduzione come capacità di “tra-dursi”

Nel campo della filosofia, Martin Heidegger, riflettendo sull’etimologia del termine übersetzen, lett. “trasporre, trasportare oltre, condurre al di là”, usato in tedesco per indicare il tradurre, asserisce che il compito che deve assolvere una traduzione è la capacità di collocarsi-oltre, su una nuova sponda, di “tra–durre la nostra vera essenza

16 Ibidem: 16.

17Venuti, Lawrence. 1999. L’invisibilità del traduttore. Una storia della traduzione. Roma: Armando Editore, 44.

18 Nanci, Giovanna. 2015. Problematiche traduttologiche in contesto interlinguistico del romanzo Kështjella di Ismail Kadare: analisi contrastiva e nuovi approcci traduttivi.Tesi di dottorato Università della

Calabria:105.

19 Venuti, Lawrence. 1999, 385.

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nell’ambito di una verità mutata”20. Con una traduzione semplicemente letterale che si limiti alla sostituzione di parole con altre, non si arriva a nulla, dice Heidegger. Una traduzione è fedele solo se “le parole parlano il linguaggio della cosa in causa”21, se mostra, cioè, una capacità non solo di trasportare, ma anche di lasciarsi trasportare nel rapporto col testo. In questa concezione del tradurre come un aprirsi all’Altro, il soggetto traducente non è estraneo all’esperienza stessa del tradurre, ma si trasforma con essa. Il processo traduttivo non accade senza ostacoli, bensì richiede un salto (ted.

Sprung), il quale porta con sé il rischio continuo di sprofondare senza oltrepassare la distanza che separa le due sponde22.

2.8 Traduzione come esperienza di negoziazione

Nel campo della semiologia, Umberto Eco sottolinea l’aspetto della traduzione come atto creativo finalizzato a ricreare l’intenzione del testo. Secondo Eco “una traduzione soddisfacente deve rendere (e cioè conservare abbastanza immutato, ed eventualmente ampliare senza contraddire) il senso del testo originale (...) tradurre significa interpretare, e interpretare vuol dire anche scommettere che il senso che noi riconosciamo in un testo è in qualche modo, e senza evidenti contraddizioni cotestuali, il senso di quel testo”23. Eco supera il principio di intraducibilità dovuto alla non equivalenza assoluta fra le lingue esistenti con il concetto di traduzione come negoziazione: “per ottenere qualcosa, si rinuncia a qualcosa d’altro – e alla fine le parti in gioco dovrebbero uscirne con un senso di ragionevole e reciproca soddisfazione alla luce dell’aureo principio per cui non si può avere tutto”24. Si tratta, per il semiologo italiano, piuttosto di “capire come, pur sapendo che non si dice la stessa cosa, si possa dire quasi la stessa cosa”25. Di fronte al problema che si pone dal punto di vista ermeneutico su quanto debba essere flessibile quel quasi, Eco afferma: “stabilire la flessibilità, l’estensione del quasi dipende da alcuni criteri che vanno negoziati preliminarmente. Dire quasi la stessa cosa è un procedimento che si pone all’insegna della negoziazione”26.

3 Antoine Berman e l’Analitica della traduzione

In questa sezione vengono presentate le opere e le linee guida del pensiero e della traduttologia di Antoine Berman.

20 Heidegger, Martin.1999. Parmenide Trad. it. di G. Gurisatti. Milano: Adelphi, 269-285.

21 Heidegger, Martin. 1968. Sentieri interrotti. Trad. it. di P. Chiodi. Firenze: La Nuova Italia, 300.

22 Heidegger, Martin. 1968. Sentieri interrotti. Trad. it. di P. Chiodi. Firenze: La NuovaItalia, 306-307.

23 Eco, Umberto. 2014. Sulla traduzione. In Nergaard Siri (a cura di) A.A.V.V.. Teorie contemporanee della traduzione, Firenze: Bompiani, 38-39.

24 Eco, Umberto. 2003. Dire quasi la stessa cosa: Esperienze di traduzione. Firenze: Bompiani, 18.

25 Ibidem, 10.

26 Ibidem, 10.

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3.1 Antoine Berman: vita e opere

Antoine Berman è un teorico francese della traduzione e traduttore di letteratura tedesca e latinoamericana. Nasce da padre ebreo polacco e madre franco-jugoslava in una piccola cittadina vicino a Limoges nel 1947. La famiglia si stabilisce in seguito vicino a Parigi, dove Berman frequenta il Lycée Montmorency e studia successi- vamente filosofia all’Università della Sorbona. Trascorsi 5 anni in Argentina con la moglie Isabelle, egli torna a Parigi, dove dirige un programma di ricerca e tiene diversi seminari al Collège International de Philosophie. Pubblica la sua prima importante opera di traduttologia nel 1984 dal titolo L'Épreuve de l'étranger, in cui presenta la storia della cultura e della traduzione nella Germania romantica. Nel 1985 Berman affronta il problema della traduzione etnocentrica nel suo saggio La traduction et la lettre ou l’Auberge du lointain.In questa sua opera-manifestoegli sviluppa una critica del tipo di traduzione letteraria dominante in Occidente e presenta un elenco dettagliato di tendenze deformanti che minacciano la pratica del traduttore operando in modo inconsapevole a livello delle sue scelte linguistiche e letterarie.Berman muore nel 1991, all’età di 49 anni, scrivendo sul letto di morte il suo ultimo libro Pour une critique des traductions: John Donne. Quest’opera, nella quale l’autore getta le basi per una critica delle traduzioni, viene pubblicata postuma nel 1995. Berman è considerato uno degli autori più influenti nel campo degli studi sulla traduzione negli ultimi due decenni.

Punto di partenza della sua traduttologia è, come egli stesso afferma, la concreta esperienza del tradurre:

Il va sans dire que c’est l’expérience du traduire qui constitue le centre de gravité de mon rapport général à la traduction. Je ne suis traductologue que parce que je suis, primor-dialement, traducteur.27

La traduzione è vista da Berman sia come esperienza nel senso heideggeriano del termine28, che come riflessione, in quanto nell’atto stesso del tradurre è presente un certo sapere che ha una prossimità d’essenza con l’atto di “filosofare” 29 . La traduttologia viene quindi definita ”una teoria della traduzione intesa come l’articolazione cosciente dell’esperienza della traduzione”30. Lungi dall’essere una disciplina obiettiva, essa è un “pensiero-della-traduzione”31. Berman prende così le distanze “tanto dai saperi positivi che mirano a fare del tradurre l’oggetto di una

27 Berman, Antoine. 2001. Au début était le traducteur. Journal de TTR 14 (2):16.

28 Berman, Antoine. 2003. La traduzione e la lettera o l’albergo nella lontananza. Trad. it. di G. Giometti.

Macerata: Quodlibet, 15: “Fare un’esperienza con quel che sia (…) vuol dire: lasciare che venga su di noi, che ci raggiunga, ci piombi sopra e ci renda altro. In questa espressione fare non significa , appunto, che noi siamo gli operatori dell’esperienza.”

29 Berman, Antoine. 2003, 15: “La traduzione è un’ esperienza che può aprirsi e (ri) afferrarsi nella riflessione.”

30 Ibidem, 16.

31 Ibidem, 17.

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scienza quanto dai propositi puramente soggettivistici dei traduttori, che spesso arretrano davanti a ogni tentativo di concettualizzare la loro esperienza”32.

3.2 L’Etica della traduzione

Descrivendo le sfide inerenti alla traduzione di un testo letterario, Berman muove una critica radicale contro il principio di equivalenza dinamica di Eugene Nida e afferma che “cercare degli equivalenti non significa solo stabilire un senso invariante, una idealità [...] significa rifiutare di introdurre nella lingua traducente l’estraneità [...], significa rifiutare di fare della lingua traducente ”l’albergo nella lontananza””33. Ma proprio tale scopo di aprire al livello della scrittura un certo rapporto con l’Altro, si scontra, osserva Berman, con l’essenza della traduzione etnocentrica dominante nella cultura occidentale, la quale, “fondata sul primato del senso, [...] considera, implicitamente o no, la sua lingua come un essere intoccabile e superiore, che l’atto di tradurre non può intorbidare”34. L’assoggettamento (fr. acclimatation) del testo di partenza alle competenze, alle attese e alle ideologie dell’orizzonte ricevente risulta in una “cattiva” traduzione, cioè in una deformazione dell’opera originale che chiude le vie d’accesso alla sua ”verità”35:

Il traduttore che traduce per il pubblico è portato a tradire l’originale, a preferirgli il suo pubblico, che del resto non tradisce di meno presentando un’opera “aggiustata”. [...] Emendare un’opera delle sue stranezze per

‘facilitarne’ la lettura porta solo a sfigurarla e, dunque, a ingannare il lettore che si pretende di servire. Occorre al contrario [...] un ‘educazione alla stranezza‘.36

L’attenzione deve essere quindi rivolta al testo di partenza e alla necessità etica oltre che letteraria e linguistica di custodirlo nella traduzione. Secondo Berman, infatti, la traduzione non è un’attività puramente letteraria o estetica, ma appartiene originariamente alla dimensione etica. Nel paragrafo intitolato ”Etica della traduzione”

del libro L’épreuve de l’etranger Berman scrive:

Tradurre significa indubbiamente scrivere e trasmettere. Ma questa scrittura e questa trasmissione prendono il loro vero senso solo a partire dalla finalità etica che le governa.37

32Sommella, Valentina. 2011. Filosofia e traduzione: “una prossimità d’essenza”. Antoine Berman lettore del Compito del traduttore di Walter Benjamin. In Camilla Miglio e Marianna Rascente (a cura di) Filosofia e poetica della traduzione: 169.

33 Berman, Antoine. 1997. La prova dell'estraneo. Trad. it. di G. Giometti. Macerata: Quodlibet, 14.

34 Berman, Antoine. 2003, 29.

35 Berman, Antoine. 1997, 15-16.

36 Berman, Antoine. 2003, 59-60.

37 Berman, Antoine 1997, 15.

(15)

La portata di quella che Berman chiama la “svolta etica” (fr. virage éthique) viene così precisata nel saggio La traduction et la lettre, ou l'Auberge du lointain del 1985:

La traduzione, attraverso il suo obiettivo di fedeltà, appartiene originariamente alla dimensione etica. Essa è , nella sua stessa essenza, animata dal desiderio di aprire l’Estraneo in quanto Estraneo al proprio spazio di lingua.38

La traduzione deve essere “apertura, dialogo, mescolanza, decentramento”39, è un

“mettere in relazione, o non è nulla”40. Solo a queste condizioni l’osmosi traduttiva diventa portatrice di elementi di “potenzializzazione”, “rigenerazione” 41 e

“ringiovanimento” 42 per la lingua traducente. Pur nella consapevolezza dell’importanza della leggibilità, il traduttore deve cercare e trovare nel “non normato”

(fr. non normé) della propria lingua materna un punto di accoglienza, al fine di introdurvi la lingua straniera e in tal modo “fecondare il Proprio attraverso la mediazione dell’Estraneo”43. Fondamentale, secondo Berman, per difendere la pura finalità della traduzione, è un lavoro sulla lettera dell’originale, ossia l’insieme di meccanismi stilistici e testuali che individuano un’opera:

Fedeltà e esattezza si rapportano alla letteralità carnale del testo. [...] il fine della traduzione è di accogliere nella lingua materna questa letteralità. Poichè è in essa che l’opera dispiega la sua parlanza, la sua Sprachlichkeit, e compie la sua manifestazione del mondo.44

Berman riconosce come la vera traduzione della lettera possa comportare il rischio dell’eccesso, da alcuni recepito come difetto di traduzione. Ma d’altro canto, come egli scrive, ”se questo eccesso non si producesse, i punti di non-eccesso, di equilibrio, di

‘riuscita’ non sarebbero raggiungibili.”45

3.3 L’Analitica della traduzione

Al fine di individuare l’etica positiva, esposta nel precedente paragrafo, è necessario, secondo lo studioso francese, individuare anche un’etica negativa, cioè una teoria dei valori ideologici e letterari, che tendono a sviare la traduzione dal suo puro intento.

Questa etica negativa deve essere completata da un’analitica della traduzione e del tradurre in grado di “reperire i sistemi di deformazione che minacciano la pratica del traduttore e operano in modo inconsapevole sul piano delle sue scelte linguistiche e letterarie”46, portandolo al rifiuto di quella estraneità che egli dovrebbe invece sforzarsi di

38 Berman, Antoine 2003, 62.

39 Berman, Antoine. 1997, 15.

40 Berman, Antoine 1997 p. 15.

41 Berman, Antoine. 1997, 17-18.

42 Berman, Antoine. 2003, 64.

43 Berman, Antoine 1997, 14.

44 Berman, Antoine. 1997, 64.

45 Berman, Antoine. 2003,17

46 Berman, Antoine. 1997, 17.

(16)

mantenere. Tali tendenze sono prodotte dalla resistenza culturale che condiziona il traduttore, anche in modo inconscio e contro la sua volontà, quando egli entra in contatto con l’alterità linguistica e culturale. Dal punto di vista pratico, Berman propone un percorso che mira all’analisi critica di tredici “tendenze deformanti”

ravvisabili nel processo traduttivo. Esse costituiscono “un tutto sistematico, il cui fine è la distruzione, non meno sistematica, della lettera degli originali, a esclusivo vantaggio del senso e della bella forma”47. Al fine di reperire questo sistema di deformazione, il traduttore deve “mettersi in analisi”48 in senso cartesiano, ma anche in senso psicanalitico. La psicologia del traduttore e la sua ambivalenza costituiscono, infatti, per Berman un punto determinante:

Sul piano psichico, il traduttore è ambivalente. Vuole forzare dai due lati: forzare la sua lingua a rimpinzarsi di estraneità, forzare l’altra lingua a de-portarsi nella sua lingua materna. Si pretende scrittore , ma non è che ri- scrittore. È autore - e mai l’Autore. La sua opera di traduttore è un’opera, ma non l’Opera.49

3.3.1 Le tendenze deformanti

Si presentano di seguito le tredici tendenze deformanti elencate da Berman nello studio La traduction et la lettre ou l’Auberge du lointain50.

Razionalizzazione

La razionalizzazione agisce sulle strutture sintattiche dell’originale, modificando, in primo luogo, la punteggiatura e l’ordine delle parole e delle frasi. Essa elimina inoltre alcuni “difetti” dell’originale, come le ripetizioni e le lunghe frasi, e in tal modo

“riporta violentemente l’originale dalla sua arborescenza alla linearità”51. Sul piano semantico, la razionalizzazione sopprime la concretezza del testo, traducendo, per esempio, i verbi con i sostantivi o scegliendo fra due sostantivi quello più generale.

Chiarificazione

La chiarificazione, corollario della razionalizzazione, è inerente alla traduzione stessa, nella misura in cui ogni atto di tradurre è esplicitante. La chiarificazione può avere una valenza positiva se intesa come manifestazione di qualcosa che non è evidente, ma nascosto nell’originale, e una valenza negativa se mira a rendere “chiaro ciò che non lo è e non vuole esserlo nell’originale”52. Questa tendenza deformante tende a imporre il definito là dove il testo originale si muove nell’indefinito.

47 Berman, Antoine. 2003, 43.

48 Berman, Antoine. 1997, 17.

49 Berman, Antoine. 1997 p. 16.

50 Berman, Antoine. 2003, 41-56.

51 Berman, Antoine. 2003, 44.

52 Berman, Antoine. 2003, 46.

(17)

Allungamento

Anche l’allungamento è una tendenza inerente al tradurre in quanto tale e una conseguenza delle due precedenti tendenze deformanti. Esso consiste in un

“dispiegamento di ciò che nell’originale è piegato”53 e costituisce un rilassamento che pregiudica il ritmo del testo.

Nobilitazione

La nobilitazione consiste in una “riscrittura”, in un “esercizio di stile” a partire dall’originale54. L’originale viene, cioè, utilizzato come materia prima per una

“retorizzazione” nobilitante che mira a produrre un testo d’arrivo più elegante del testo di partenza.

Impoverimento qualitativo

L’impoverimento qualitativo ha luogo quando termini e espressioni dell’originale vengono sostituiti con termini e espressioni che non possiedono né la stessa ricchezza sonora, né la stessa ricchezza iconica dell’originale55.”

Impoverimento quantitativo

L’impoverimento quantitativo implica una dispersione lessicale che si verifica quando si hanno nella traduzione meno significanti che nell’originale.

Omogeneizzazione

L’omogeneizzazione è la risultante di tutte le tendenze precedenti e consiste, di fronte a un’opera eterogenea, nella tendenza a “unificare su tutti piani il tessuto dell’originale”56.

Distruzione dei ritmi

La distruzione dei ritmi non riguarda solo la poesia, ma anche la prosa, e può essere causata in particolare dal cambiamento della punteggiatura e dallo stravolgimento dell’ordine delle parole.

53 Berman, Antoine. 2003, 46.

54 Berman, Antoine. 2003, 48.

55 Berman, Antoine. 2003, 48. Iconico è, secondo Berman, “un termine che in rapporto al suo referente fa immagine, produce una coscienza di somiglianza” Ibidem, 48

56 Ibidem, 50.

(18)

Distruzione dei legami di significazione soggiacenti

La distruzione dei legami di significazione soggiacenti si verifica quando il traduttore non trasmette i reticoli esistenti sotto la superficie del testo formati da alcuni significanti chiave57. Si tratta di parole che, prese individualmente, non hanno alcuna particolare valenza, ma insieme contribuiscono a dare uniformità e senso al testo.

Distruzione dei sistematismi

Il sistematismo di un’opera riguarda, ad esempio, l’impiego dei tempi e il tipo di frasi e costruzioni utilizzate. Razionalizzazione, chiarificazione e allungamento, proprio in quanto introducono elementi non previsti dal sistema testuale di partenza, distruggono la natura sistematica dell’originale58.

Distruzione dei reticoli linguistici vernacolari

Tale tendenza mira a cancellare gli elementi vernacolari presenti nelle opere in prosa.

Tali elementi sono caratterizzati da una lingua più corporea e iconica rispetto alla koiné e sono molto spesso legati all’oralità. La loro eliminazione è considerata da Berman come un “grave attentato” alla testualità delle opere in prosa59.

Distruzione delle locuzioni

La distruzione delle locuzioni e delle espressioni idiomatiche rappresenta una modalità evidente di traduzione etnocentrica. Sostituire un’espressione idiomatica della lingua di partenza con una equivalente della lingua di arrivo costituisce un’aggressione alla parlata del testo originale. Si sottovaluta così anche la capacità del lettore di cogliere l’essenza della locuzione straniera, collegandola alla locuzione corrispondente nella propria lingua madre.

Cancellazione della sovrapposizione fra le lingue

La cancellazione della sovrapposizione tra le lingue rappresenta il problema maggiore della traduzione dei romanzi, in quanto per i traduttori è alquanto difficile, se non impossibile, riproporre la compresenza di lingue, socioletti e dialetti che tanto spesso caratterizza la prosa romanzesca.

3.3.2 La critica delle traduzioni

Le tendenze deformanti sopra descritte si riferiscono ad una analitica negativa della traduzione. A questa deve far seguito un’analitica positiva, vale a dire un’analisi delle

57 Ibidem, 51.

58 Ibidem, 52.

59 Ibidem, 53.

(19)

operazioni che il “traduttore della lettera” deve mettere in atto per limitare tali deformazioni. La cooperazione delle due analitiche dà vita alla critica delle traduzioni, alla quale Berman dedicò il volume Pour une critique des traductions: John Donne (1995).

Quest’opera, scritta sul letto di morte, può essere considerata come un vero e proprio testamento spirituale dello studioso francese e costituisce il punto cruciale nel suo contributo per lo studio della traduzione. La critica delle traduzioni si configura come la “critica di una critica”60, in quanto l’atto traduttivo di per sé è “un atto critico” (fr.

un travail d’ordre critique), al punto da poter affermare “qu’on n’a jamais analysé un texte avant de le traduire”61. Berman avanza, infatti, l’idea della traduzione come

“prova della verità”, in quanto essa rivela non solo i tratti salienti della fisionomia dell’originale e le sue qualità e difetti, ma anche e soprattutto le zone dell’originale meno frequentate. Il metodo di critica delle traduzioni tracciato da Berman come “un possibile percorso analitico” (fr.un trajet analytique possible)62 consiste di varie fasi successive. Nella prima fase è necessario astenersi dal confronto con l’originale e concentrarsi esclusivamente sulla lettura della traduzione.

Quest’operazione iniziale permette da un lato di presentire se il testo tradotto “regge” (fr. tient )63 come lavoro scritto nella lingua ricevente, e se ha ha una sua coerenza e sistematicità, dall’altro consente di rivelare le eventuali “zone testuali” problematiche, ove sono ravvisabili delle lacune del testo tradotto, ma anche le “zone testuali” definite da Berman

“miracolose”(fr.de bonheur), che arricchiscono la lingua e la cultura ricevente64. La seconda fase prevede la lettura dell’originale lasciando da parte la traduzione, ma tenendo conto delle zone testuali problematiche e ben riuscite del testo tradotto. Si tratta di una “pre-analisi testuale”65, nel corso della quale il critico individua i tratti stilistici che caratterizzano la scrittura e la lingua dell’originale. Partendo da questa pre-analisi testuale si procederà poi in una terza fase a selezionare esempi stilistici pertinenti e significativi nell’originale66. Si tratterà cioè, in base all’interpretazione dell’opera, di extrapolare quei passi in cui essa “si condensa, si rappresenta, assume significato o si simbolizza”67. In questi passi la scrittura possiede, secondo Berman, un “altissimo grado di necessità” e il senso dell’intera opera si svela in

60Berman, Antoine. 1995. Pour une critique des traductions: John Donne. Paris: Éditions Gallimard, 41.

61 Ibidem: 76.

62 Ibidem: 64 “il ne s’agit pas de présenter un modèle, mais un trajet analytique possible.”

63 Ibidem: 65.

64 Ibidem: 66.

65 Ibidem: 67.

66 Ibidem: 70.

67 Ibidem: 70 “se condense, se représente, se signifie ou se symbolize.”

(20)

modo preciso68. La terza fase prevede che anche il critico, così come il traduttore, debba ricorrere alla lettura di altre opere dello stesso autore e di altri autori della sua epoca. Al termine di questa terza fase non si è ancora pronti per la comparazione dell’originale e della traduzione, ma occorre capire profondamente chi è il traduttore, il che significa determinare la sua posizione traduttiva, il suo progetto di traduzione e il suo orizzonte traduttivo. Si giungerà quindi alla fase concreta e decisiva della critica delle traduzioni:la comparazione “fondata” (fr. fondée) tra l’originale e la sua traduzione69. Berman chiarisce che il confronto tra originale e traduzione è una comparazione

“fondata” in quanto si basa su tutta quella serie di dati che il critico dapprima ha raccolto. Tale comparazione si articola in quattro passaggi. In primo luogo si confrontano gli elementi e i passi selezionati dell’originale con la “resa”

degli elementi e dei passi corrispondenti della traduzione. Il secondo passaggio consiste nel confronto inverso tra le “zone testuali” giudicate problematiche o ben riuscite della traduzione con le “zone testuali”

corrispondenti dell’originale. Gli ultimi due passaggi sono dedicati al confronto con altre traduzioni e al confronto della traduzione con il suo progetto traduttivo70.La valutazione del traduttore da parte del critico dovrà essere basata sui criteri di “poeticità”, vale a dire in che misura il traduttore ha prodotto un testo, in correlazione più o meno stretta con la testualità dell’ originale, e di “eticità”, che consiste nel rispetto dell’originale.Eticità e poeticità garantiscono, dunque, nella concezione di Berman, che vi sia “corrispondenza” con l’originale e la sua lingua71. La tappa finale del percorso critico tracciato da Berman è rappresentata dalla “critica produttiva”. Il critico dovrà, cioè, essere in grado con il suo lavoro di articolare i principi di una ritraduzione sulla base di nuovi progetti traduttivi. In tal modola sua analisi della traduzione potrà diventare un atto critico positivo, fruttuoso e fecondo72.

4 Riflessioni sulla traduzione di testi medievali

Alle teorie sulla traduzione esposte precedentemente si è ritenuto opportuno aggiungere alcune riflessioni concernenti la traduzione di testi antichi e più specificatamente medievali. In tali casi all’immagine spaziale del trasferire evocata dai termini “testo di partenza” e “testo di arrivo” si aggiunge una dimensione temporale.

68 Ibidem: 70 “Ces passages sont les zones signifiantes où une oeuvre atteint sa propre visée (pas forcément celle de l’auteur) et son propre centre de gravité. L’écriture y possède un très haut degré de nécessité.

69 Ibidem: 83.

70 Ibidem: 85-86.

71 Ibidem: 91-95.

72 Ibidem: 96-97.

(21)

Il tradurre diventa un “dire dopo”, un “viaggio nel tempo”73, per ritrovare il filo che ci lega alle opere del passato e garantirne la sopravvivenza. Il compito del traduttore si carica così, secondo Maria Vittoria Molinari, di una responsabilità particolare nella consapevolezza di “contribuire con le proprie scelte operative alla costituzione dell’immagine che la cultura contemporanea ha del suo passato e quindi di se stessa”74. L’atto ermeneutico compiuto su un’opera medievale impone al traduttore la necessità di possedere solide competenze della lingua e della cultura emittente, al fine di individuare le strutture di significazione di un testo prodotto in una civiltà che è, secondo Paul Zumthor, “lontana da noi non solo nel tempo ma anche per tutta la sua struttura”75. Tale lontananza fa sì, come ci ricorda Giuliana Garzone, che la dimensione di “scommessa”, sottolineata da Eco in ogni atto ermeneutico, valga a maggior ragione nella traduzione di testi medievali76. Si aggiunga poi, a volte, riguardo a tali opere, la difficoltà di ricostruire lo sfondo extratestuale, fattore ritenuto indispensabile dal semiologo Jurij M. Lotman per la percezione di un testo: “La carne reale dell’opera letteraria consiste di un testo[...], del suo rapporto con la realtà extratestuale - con la realtà, con le norme letterarie, con la tradizione, con il sistema delle credenze”77. Il traduttore di un testo medievale si trova, altresì, ad affontare la sfida di far percepire al lettore moderno, che a differenza dell’ascoltatore o lettore medievale spesso non dispone del patrimonio di nozioni contestuali necessario, le risonanze e i valori ideologici presenti nel testo, al fine di evitare i rischi, sottolineati da Friedmar Apel e Paul Zumthor, di una comprensione solo apparente, o limitata alla“facciata oggettiva del testo”78. Alle difficoltà sopra descritte si aggiungono due problematiche specifiche connesse con la traduzione dei testi medievali riguardanti la loro instabilità e fluidità e il rapporto tra oralità e scrittura. Il testo medievale è infatti spesso, come scrive Molinari, “un testo in fieri, dinamico e variabile spesso già all’atto della sua costituzione, e ancor più in seguito alla sua trasmissione”79. La seconda questione, a

73 Cammarota, Maria Grazia. 2018. Tradurre: un viaggio nel tempo. In Cammarota, Maria Grazia (a cura di) Tradurre: un viaggio nel tempo. Venezia: Edizioni Ca’Foscari, 9-16.

74 Bampi, Massimiliano. 2016. Tradurre dall’islandese antico: questioni filologiche e approcci teorici.

In Cinzia Franchi (a cura di) Editoria e Traduzione . Focus sulle lingue “di minore diffusione”. Roma: Lithos editrice, 218.

75 Garzone, Giuliana. 2015. Le traduzioni come Fuzzy set. Percorsi teorici e applicativi. Milano: Led Edizioni universitarie di Lettere Economia e Diritto, 101-115.

76 Garzone, Giuliana. 2015, 105.

77 Lotman, Jurij. M. 2014. Il problema del testo. In Nergaard Siri (a cura di) A.A.V.V., Teorie contemporanee della traduzione. Firenze: Bompiani, 88-89.

78 Garzone, Giuliana. 2015, 104.

79Cammarota, Maria Grazia. In Molinari, Maria Vittoria (a cura di) 2002. Tradurre testi medievali.

Obiettivi, pubblico, strategie. Bergamo: Sestante Edizioni, 13.

(22)

cui sono state dedicate le riflessioni degli studiosi con particolare riferimento alla tradizione nordica antica e alle saghe islandesi, concerne il rapporto tra oralità e scrittura, in quanto il testo scritto delle saghe è stato preceduto da una lunga tradizione orale, come rivela il termine stesso saga, corradicale al verbo norreno segja “dire, raccontare”. Proprio a motivo di queste problematiche, come sottolinea Massimiliano Bampi, è necessario che il traduttore di saghe, e più in generale di testi medievali, sia un filologo 80 . Il ruolo specifico della filologia nell’ambito della traduzione intertemporale, a partire dalla disamina della tradizione manoscritta, viene definito da Maria Grazia Cammarota “uno scavo analitico puntuale, profondo e scientificamente fondato, a partire dalla forma linguistica e stilistica del testo in esame per arrivare a comprenderne i contenuti in relazione al contesto storico-culturale in cui esso è maturato”81 . L’apparato testuale da affiancare alla traduzione deve mirare, secondo Cammarota, a “illuminare i testi”, fornendo al lettore le informazioni necessarie a cogliere l’alterità storica dell’opera tradotta. Naturalmente, come avverte Molinari, all’atteggiamento filologico non si può attribuire “la presunzione di una sicura obiettività, ma semplicemente la ‘tensione’ verso il raggiungimento del massimo possibile di verità storica”82. La duplice modalità traduttiva adeguatezza -accettabilità (Toury), estraniamento-addomesticamento (Venuti) si ripropone al traduttore di testi medievali, secondo Garzone, nei termini di storicizzazione – attualizzazione83. Laura Salmon offre nel suo libro Teoria della traduzione due esempi che illustrano in modo concreto la differenza fra la strategia della storicizzazione tesa a sottolineare la distanza temporale tra il testo di partenza e il testo di arrivo e la strategia dell’attualizzazione che mira invece a eliminare tale distanza:

Storicizzare la Divina Commedia in finlandese oggi significa produrre un TA che inneschi nel lettore finlandese di oggi un effetto linguisticamente e stilisticamente molto diverso da quello che la Commedia innescava nei contemporanei di Dante, ovvero, trasferire al TA la distanza temporale esistente tra testo e lettori generata da cause esterne al testo stesso.

Attualizzare la Divina Commedia in finlandese oggi significa produrre un TA che produca nel lettore finlandese di oggi un effetto il più possibile linguisticamente e stilisticamente affine a quello che la Commedia innescava nei contemporanei di Dante.84

Garzone individua nella storicizzazione la strategia vincente al fine di promuovere nel lettore, tramite una traduzione non troppo “rassicurante” o “trasparente” la consapevolezza della distanza dalla civiltà medievale, ma sottolinea d’altro canto la rilevanza cruciale del lavoro di interpretazione e riscrittura da parte del traduttore e la necessità di fronte a ogni singolo testo di costruire un progetto traduttivo ad hoc che

80 Bampi, Massimiliano. 2016, 216-217.

81 Cammarota, Maria Grazia. 2018, 11.

82 Cammarota, Maria Grazia. 2018, 12.

83 Garzone, Giuliana. 2015, 108-113.

84 Salmon, Laura. 2017. Teoria della traduzione. Milano: FrancoAngeli, 201.

(23)

tenga conto della natura del testo e dello scopo della traduzione. L’equivalenza del nuovo testo rispetto all’originale potrà essere giudicata non sulla base di regole

“esterne” e universalmente applicabili ma solo sulla base di certi postulati che hanno caratterizzato il comportamento del traduttore85. Salmon si esprime a favore di una ibridazione delle due modalità traduttive:

Ad esempio se nel progetto la strategia dominante è l’attualizzazione, se TP e TA sono separati da una distanza cronologica, è comunque possibile e consigliabile introdurre qualche elemento di storicizzazione; viceversa, se si decide che nel TA l’effetto straniante debba prevalere, lo si deve comunque bilanciare con una buona dose di omologazione, perché almeno una parte rilevante del testo deve offrire elementi di riconoscibilità per innescare almeno una parziale sensazione di empatia estetica.86

La traduzione dovrebbe mirare, secondo Salmon, a realizzare un effetto estetico combinando e dosando con equilibrio elementi nuovi, sorprendenti perché inattesi, assieme a elementi canonici, attesi, che innescano la sensazione del riconoscimento87 . Una lunga serie di elementi estranei senza spiegazione allontanerebbe il lettore dal processo di immedesimazione, distraendolo con il fastidio di troppe parole estranee e

‘opache’. Secondo Bampi, un ruolo fondamentale nell’individuazione della strategia traduttoria è svolto dal pubblico a cui il traduttore si rivolge88. Alessandro Zironi sottolinea lo sforzo speciale di lettura critica del testo medievale compiuto dal traduttore prima ancora della scelta di una strategia traduttiva come indispensabile per far uscire quel testo dalla propria “solitudine temporale”89.

5 La Guta saga

La Guta saga è una delle prime opere storiche e letterarie della Svezia medievale, proveniente dall’isola di Gotland. Quest’ isola del Baltico era già divenuta durante l’epoca vichinga, grazie alla sua posizione geografica e al dinamismo dei suoi abitanti, un importante crocevia commerciale sull’austrvegr, la ’rotta orientale’, che dal Baltico, inoltrandosi attraverso le steppe russe, giungeva sino alle porte dell’Impero bizantino e del Califfato di Bagdad. Composta da circa 1800 parole e scritta in gutnico antico (forngutniska), un dialetto del norreno parlato a Gotland durante l’epoca vichinga ed il medioevo, la Guta saga costituisce un’opera unica nel suo genere, in quanto non si tratta di una saga vera e propria, e neppure di una cronaca. Nel titolo attribuitole dal filologo gotlandese Carl Säve nel 1852 l’uso del termine saga rivela l’intenzione di collegare la composizione dell’opera alla grande tradizione delle saghe islandesi. Il suo

85 Garzone, Giuliana 2015, 108.

86 Salmon, Laura. 2017, 204.

87 Salmon, Laura 2017, 204.

88 Bampi, Massimiliano. 2005. Instabilità testuale e dialogo interculturale: riflessioni sulla traduzione della Gautreks saga. Linguistica e Filologia 21. Bergamo: Università degli Studi di Bergamo, 74.

89 Cammarota, Maria Grazia.2018, 14.

(24)

anonimo autore, probabilmente un chierico gotlandese vissuto intorno alla metà del XIII secolo, fondendo elementi storici e leggendari, riesce a comporre con notevole maestria una serie di episodi, diversi per stile e contenuto, in un affascinante mosaico sulla storia dell’isola dal tempo del suo mitico scopritore Þieluar fino agli eventi a lui contemporanei. Si ritiene che la Guta saga e il Guta lag, il “Codice di leggi dei Gotlandesi”

siano stati redatti su iniziativa dell’arcivescovo di Lund Andreas Sunesson, il quale, durante una sua visita a Gotland di ritorno dalla Livonia nella primavera del 1207, esortò molto probabilmente i Gotlandesi a codificare le loro leggi e a scrivere la storia antica dell’isola. L’impresa non fu sicuramente facile e richiese del tempo, dal momento che la trasposizione letteraria nella lingua madre era qualcosa di assolutamente nuovo. La Guta saga si apre con il racconto delle mitiche origini di Gotland, ove riecheggiano motivi della più antica tradizione germanica: il potere del fuoco, la natura profetica dei sogni, il valore simbolico del numero tre (tre generazioni, tre serpenti, tre figli ), i nomi leggendari e allitteranti fra loro dei mitici antenati (Hafþi e Huitastierna; Guti, Graipr e Gunfiaun), l’inserzione di strofe poetiche in luogo del discorso diretto. Dopo questo inizio, proprio di una folksaga, l’autore narra, attingendo a materiale proveniente dalla tradizione popolare ed a fonti letterarie, dell’esodo forzato di una parte dei Gotlandesi fino alla ‘terra dei Greci’, degli antichi culti pagani, del trattato con il re degli Svedesi e della cristianizzazione dell’isola. Lo stile di queste prime parti è semplice e piano ed il racconto sempre vivace ed inteso a offrire diletto mediante riferimenti a episodi, luoghi e personaggi familiari al pubblico dell’autore.

Le due ultime parti, le più esaustive di tutta l’opera, sono dedicate all’annessione di Gotland alla diocesi di Linköping e agli obblighi militari verso il re di Svezia. Esse sono redatte in uno stile più complesso, sicuramente influenzato dal latino, e prevalentemente a carattere giuridico con citazioni testuali dai documenti legali dei trattati. La Guta saga è conservata in un unico manoscritto: il Codex Holmensis B 64 della Biblioteca Reale di Stoccolma, datato intorno al 1350, in cui figura in appendice al Guta lag. Il manoscritto originale non presenta nessuna divisione in capitoli. I titoli in latino, aggiunti al margine nel XVI secolo, riassumono il contenuto della Guta saga nel modo seguente :

1 Quomodo Gotlandia inuenta est et culta.

2 Pacis conditio cum Rege sueciae facta . et Tributum anniuersarium.

2 Conuersio ad fidem christianam

4 Bellica expeditio qua conditione suscepta olim fuerit

La traduzione ha seguito il testo dell’edizione critica di C. Peel, pubblicata nel 1999 dalla Viking Society for Northern Research del University College di Londra.

6 Preanalisi del traduttore

Al fine di analizzare il contesto in cui è nata la traduzione della Guta saga, si procede in questa sezione a una preanalisi del traduttore, strutturata in base alla metodologia

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